31/01/2004
Lo zen e l’arte del nastrone
di Antonio Sofi, alle 19:43
Ieri ho sentito gente irridere i fondamentali mixtapes fatti in casa con tanto amore e passione.
Dicevano –Perché almeno non fai un cd misto, che senso ha fare una cassetta, sei un cavernicolo. Già .
We love the city
Un nastrone come quelli di una volta, quelli che dovevi calcolare bene la durata complessiva dei pezzi per evitare che una canzone venisse brutalmente tagliata a metà . […]
Perchè il “nastrone” alla fine è principalmente questo: un moto del cuore, e solo secondariamente anche una raccolta di canzoni scelte una per una allo scopo di condividerle con gli altri.
L’arte del nastrone
Di nastroni, da quando ho un masterizzatore, non ne faccio più. Non che ne facessi molti, prima, questo va detto: ma ora non ne ho proprio più voglia. Mi pare che non sia più la stessa cosa. Mi pare. Troppo facile, mi dico, checcevò?
Troppo facile, e troppo veloce.
Perchè fare un nastrone è come meditare, e per farne uno fatto bene occorre tempo. Tempo e attenzione.
(Ora, sarà opportuno ricordare che i migliori arcieri tendono l’arco nello sforzo di una concentrazione molto lenta, a dir poco esasperante. )
Se hai tempo e ci metti attenzione puoi fare un nastrone fatto bene.
Se non hai tempo e ti distrai farai un nastrone fatto male.
Il tempo serve per concentrarsi.
Fai scivolare lo sguardo tra le etichette come un budda sorridente e aspetta che la canzone contenuta in una tra le cassette che hai si incastri da sola nel flusso della musica che hai in testa. Se passano più di dieci minuti, però, allunga la mano e prendi la prima cassetta che ti capita. Di solito funziona.
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